dicembre 08, 2021

Solo con Dio perciò fratello

“La mia mente non trovò nessuno sulla terra che potesse darle né tranquillità né giustizia. Trovai l’una e l’altra in Dio”. Questa frase dice molto di Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”, la straordinaria figura a cui è stata dedicata la serata del 4 dicembre scorso, nella chiesa di San Francesco a Reggio Emilia, grazie all’ospitalità offerta dalla fraternità di Angelo Rovereto. Nel centenario della nascita si è voluto ricordare questo giovane laico - Servo di Dio, “primo partigiano d’Italia”, medaglia d’Oro al Valor militare – con la proiezione del commovente film-documentario “Bisagno”, di Marco Gandolfo. A seguire si è tenuto un breve confronto intorno al Servo di Dio, con la partecipazione del regista, del nipote omonimo, Aldo Gastaldi, e del vescovo Massimo Camisasca, a cui principalmente va il merito di avere voluto l’incontro.

La vicenda del film stesso, tra l’altro, è legata all’amicizia tra Marco e Aldo, iniziata alla facoltà di Ingegneria e continuata, finiti gli studi, quando il primo ha iniziato a lavorare in tv nel settore dei documentari. Avendo accesso al patrimonio di documenti e testimonianze raccolto in vari decenni dalla famiglia Gastaldi – e da Giacomo, uno dei fratelli di Bisagno, in particolare – Gandolfo nel 2009 ha cominciato le riprese, fino al debutto del lungometraggio, avvenuto nel Dipartimento di Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il 27 aprile 2015.

“Non esiste nel film una voce narrante – ha spiegato il regista - perché ho pensato che la cosa più interessante fosse far fare allo spettatore, in poco più di un’ora, la stessa esperienza che ho fatto io in cinque anni. Pur essendo genovese, non conoscevo la storia di Aldo Gastaldi, al quale è intitolato il corso in cui sorge la ‘Casa dello studente’ nella mia città, fino a quando non ho conosciuto il nipote, con lo stesso nome, e ho iniziato ad approfondire la storia di Bisagno”.

Da quando il film è uscito, è iniziato un itinerario che tappa dopo tappa ha coinvolto numerosi giovani. “In loro – ha aggiunto Marco Gandolfo - ho visto il bisogno di avere un padre, un punto di riferimento che rimandi al Padre con la ‘p’ maiuscola. L’esperienza di Bisagno è sì eccezionale, ma dice anche ai giovani che vivere così è possibile”.

Il nipote di Bisagno ha dato una lettura spirituale molto convincente: “Penso che mai come oggi la maggior parte degli uomini si senta come in una gabbia, perché la pochezza e la mediocrità che respiriamo ci porta inesorabilmente verso il basso. E credo che Aldo abbia avuto un coraggio raro, il coraggio del silenzio e della solitudine; in lui si è fatta largo la sana, santa inquietudine che sta dentro di noi ma contro la quale il mondo congiura”. La bellezza di Bisagno, ha detto ancora Aldo Gastaldi, sta nel fatto che “ci testimonia che Dio non è l’avversario della nostra libertà, ma ne è il fondamento. Bisagno è rimasto libero in un inferno di ideologia, ci fa capire che la strada non è l’inseguimento di istinti o passioni, neppure umanamente giustificabili o legittimi, ma sta nel soffocamento di questi pessimi consiglieri, sempre guardando in alto prima di agire, senza esaltazioni di sorta”.

Tra gli aneddoti raccontati da Gastaldi junior al tavolo, quello – depositato in una testimonianza giurata resa da un sacerdote di Chiavari – secondo cui lo zio affrontava spesso rischiose camminate in solitaria, tra i boschi delle montagne liguri, per raggiungere la canonica di questo prete e, dopo aver bussato ed essersi fatto riconoscere, ricevere la santa Eucarestia.

La famiglia Gastaldi non ha voluto cedere alla logica celebrativa, per cui il comandante Aldo sarebbe stato tramutato in un mito, o peggio in un idolo, ma piuttosto, grazie al film di Gandolfo, trasmettere la testimonianza di un giovane che ha basato tutta la sua vita sulla radicalità del Vangelo.

“La vita di questo giovane - ha concluso il nipote Aldo - ci dice che la verità non è frutto di mediazione umana né di maggioranze, non è… democratica. Tutte le libertà che non riconducono a Cristo sono false luci. Solo la verità di Dio è garanzia di libertà”.

Nel suo intervento conclusivo monsignor Camisasca ha sottolineato due ragioni che rendono a suo giudizio “Bisagno” una figura francescana, al di là del sembiante del volto, fiero, incorniciato da barba e baffi. La prima è il suo radicamento nel silenzio. “Non dobbiamo mai dimenticare – ha detto il pastore della Diocesi - che Francesco ha fondato la sua comunità sul silenzio benedettino. E Bisagno era in mezzo alla gente ma aveva consapevolezza della propria solitudine con Dio”; non un atteggiamento pieno di nostalgia o di ripiegamenti, quello del partigiano cattolico, ma una solitudine feconda e attiva, ben colta dalla poetessa Elena Bono – una delle testimoni del documentario – nei versi dedicati a Bisagno e al suo sguardo penetrante. “Non ci si può slanciare in alto se le radici non sono scese molto in profondità”, ha commentato ancora il vescovo Massimo ricordando come la piena “immersione” nella vita sia stata accompagnata, nell’esistenza del comandante della Resistenza, dalla sua salita in montagna.

La seconda similitudine con san Francesco, la più inimmaginabile e “vertiginosa” secondo il Vescovo, è che come il Poverello d’Assisi da questa solitudine con Dio fece nascere una comunità attorno a sé, così Bisagno ha creato, ventenne, una fraternità all’interno della guerra, perché aveva capito che dalla guerra si usciva soltanto con la fraternità cristiana. In effetti il film di Gandolfo mostra compagni partigiani che, dopo 60 o 70 anni, parlano di Aldo Gastaldi come di una persona presente; questo – ha affermato il pastore - fa capire l’eternità dell’amicizia cristiana e la sua capacità di costituire l’unica vera novità che il mondo attende. Così il capolavoro di Bisagno è consistito nel creare il mondo nuovo della fraternità cristiana dentro il mondo vecchio dei totalitarismi e dell’ideologia che stava marcendo; non che il partigiano abbia fatto chissà che cosa, ma ha lasciato fare a Dio tutto e questo – ha concluso Camisasca - è lo stigma della santità.


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