
Approfitto del “Te Deum” di quest’anno di grazia 2021 per alcune considerazioni che, spero mi sia permesso, vanno appena fuori dal coro. Il tema - non originale, lo so - è il clima di pandemia in rapporto alla vita della Chiesa. Parlo da cristiano, guarito e vaccinato dal Covid-19, e mi dispiace dover fare questa premessa, perché so che se avessi esordito con un’etichetta “sbagliata” (ad esempio no vax) avrei già perso ascolto, comprensione e Dio non voglia stima da parte di diversi lettori. Il “coro” di cui parlo è quello per cui vaccinarsi è obbligatorio, un atto d’amore (l’ha detto anche il Papa…) e che i vaccini sono l’unica arma per uscire dalla pandemia, per cui occorre affrettare la terza dose, in vista della quarta e dell’ennesima, anche per i bambini eccetera, il tutto accompagnato da allarmi mediatici ansiogeni. Peccato che il coronavirus, con le sue maledette varianti, dopo due anni non sia ancora ahinoi controllato in modo rassicurante. Peccato che il vaccino – che sarebbe più corretto chiamare siero antigenico – non si sia rivelato la salvezza, nonostante ci fosse stato detto che il raggiungimento di elevate percentuali di vaccinati avrebbe garantito l’immunità di gregge. Peccato che manchi, da parte dei più sapienti – scienziati, politici - l’umiltà di riconoscere anche gli errori, oltre che i “successi”. Peccato che una cappa di fatica, incertezza e silenziosa diffidenza minacci di gravare ancora su di noi, con effetto “déjà vu” bell’e servito. Peccato che lo Stato non abbia voluto accollarsi la responsabilità dell’obbligo vaccinale e lo imponga di fatto attraverso strategie che, a cominciare dall’ennesimo prolungamento dello stato d’emergenza, mettono le persone le une contro le altre, seminando contrarietà e tante contraddizioni. Contraddizioni da cui, se siamo intellettualmente onesti, la nostra Chiesa non va esente: perché se vado a messa nella mia chiesa non devo nemmeno più provare la temperatura corporea e se nella stessa chiesa voglio assistere a un concerto devo esibire il “super green pass”?
Ma il peccato più vero – per noi cristiani – ritengo sia l’assecondamento delle divisioni e delle polarizzazioni che la gestione della crisi sanitaria ha generato nel tessuto comunitario in questo lungo tempo d’incertezza e sospetto, con la conseguente ricerca, mai interrotta, di capri espiatori e di “untori” nella società.
Prevale nella Chiesa, o almeno così mi pare, un senso di impotente e umiliata osservazione degli eventi; prevale il lamento sterile per il calo di partecipazione alla vita comunitaria; prevale la paura del confronto e anche del dissenso, facilmente messo a tacere con motivazioni pretestuose; prevale il ragionamento per etichette e slogan, con un’animosità nient’affatto diversa da quella di chi non professa alcuna fede religiosa.
Mi sembra - lo dico con sofferenza - che il deficit di partecipazione democratica e di confronto intellettuale riguardi tanto la vita politica quanto quella ecclesiale, e che su quest’ultimo versante la realtà strida con il desiderato spirito di ascolto sinodale. Mi sembra che la Chiesa mostri un deficit di vigilanza nei confronti delle dinamiche del potere, in contrasto con l’invito che caratterizza l’Avvento e il Natale. Mi sembra pure che le stia mancando lo spirito profetico: non dovrebbe, il popolo di Dio, stare dalla parte degli ultimi? E tra questi “ultimi”, o tra i nuovi poveri, non vanno forse considerate le persone che per ragioni non sintetizzabili in un’etichetta hanno ritenuto di non sottoporsi ad altre dosi di vaccino o di non vaccinare i figli minori, e magari ne pagano il prezzo perdendo lo stipendio o il lavoro? Quelli che non si comportano come crediamo giusto noi non sono forse fratelli e sorelle?
Tutto questo lo scrivo non per acuire fratture, ma per evitare le semplificazioni ideologiche. Facciamo posto ai dubbi e lasciamo perdere giudizi e pregiudizi, da quelli partitici a quelli sanitari. Penso che noi figli di Dio siamo chiamati a cercare di comprenderci, tutti, se vogliamo davvero “camminare insieme”. Viviamo le contraddizioni, senza negarle, ma per quanto dipende da noi, come ci raccomanda l’Apostolo, viviamo in pace con tutti. Il grande Divisore è all’opera anche oggi, e ho il timore che nella pandemia si trovi a suo agio. Combattiamolo con l’ascolto comprensivo, la preghiera, la carità benigna e paziente.
Non sono gradite le condivisioni su social e chat. Per eventuali commenti utilizzare il form "Contatti" del sito