
RITRATTO DI EDOARDO TINCANI NEI SUOI 13 RACCONTI
di Antonio Petrucci
A me il “narratore Edoardo Tincani” ricorda un po’ un automobilista: uno che guida con prudenza, rispetta i limiti di velocità e la distanza di sicurezza, tiene le mani sul volante e gli occhi sulla strada; poi improvvisamente, quando sente che la meta è vicina, dà un colpo di acceleratore e si mette a correre. Non intendo dire che ha fretta; intendo dire che ha cambiato velocità. E noi in quel momento ci accorgiamo che anche il paesaggio è cambiato: non ci ha portato dove ci sembrava; ci ha portato in un luogo misterioso – dove voleva portarci lui fin dall'inizio.
Nei 13 racconti di Tincani – contenuti ne L’anticamera del cielo – non ce ne è (quasi) uno che non termini con un colpo di scena: è la rivelazione che quanto avevamo creduto finora non era che la “superficie delle cose” e che sotto la superficie fermentava un segreto.
Si prenda ad esempio “Fine di una storia”. C’è una ragazza che ha litigato con l’ex fidanzato, un tipaccio narcisista e manesco che la ha perseguitata in tutti i modi, ma non vuole lasciarla andare. La ragazza prova a dormire, ma non ci riesce perché i ricordi non le danno tregua. Ed ecco, squilla il telefono… nelle ultime pagine esplode una inattesa conclusione.
Oppure si prenda “Un cavaliere”. In un’atmosfera decisamente medioevale, un eroico cavaliere si batte con un ladro per difendere una giovane donna. Ippolito, un ragazzo di dodici anni, colpito dalla sua nobile figura e dalle sue nobili imprese, decide di seguirlo, col sogno di diventare come lui… Ma, così facendo, scoprirà una realtà completamente diversa da quella immaginata. “Un cavaliere” è una storia sulla ambiguità, e sull’inganno di cui sono capaci gli esseri umani, ma anche una storia sull’adolescenza, sui suoi sogni, sulle sue delusioni – sulla sua traumatica scoperta del mondo adulto.
Si potrebbe anche continuare con gli “Amori di un astronomo”, dove un introverso impiegato appassionato di stelle perde, per la seconda volta, l’unico amore della sua vita; oppure con il tenerissimo “Natale in casa Bordi”, dove l’annuncio di una adozione illumina come un bengala una festa drammaticamente “vuota di bambini”…
Però… forse ho sbagliato a paragonare Tincani a un guidatore: forse dovrei paragonarlo a un cacciatore che va su sentieri noti (e ignoti) inseguendo una preda – e la sua preda è una verità, una piccola verità, sugli uomini e sulle donne. Perché poi non esistono davvero “gli uomini” e “le donne”: esiste solo l’individuo, quell’uomo o quella donna, con un nome e una storia, e ognuno ha nel cuore il suo segreto, difeso, custodito con pudore, e solo il narratore può accostarsi a quel segreto perché lo fa grazie alla sua pietas e perché lo fa per “rendere giustizia” e per redimere la sofferenza.
La maggioranza dei racconti di Tincani apre spiragli sul quotidiano. Tre racconti però si potrebbero definire “futurologici”. Ma il futuro di Tincani ha radici nel presente, guarda al presente attraverso il futuro o viceversa, e così alla fine la definizione “futurologici” si rivela inadeguata. I tre racconti, “Aggiornamento sanitario”, “Niente più lacrime” e “Missione sottomarina” sono straordinari (mi ricordano un po’, per la coralità, l’ultimo Jack London). Il primo raccoglie preoccupazioni diffuse su una mondiale “dittatura sanitaria”; il secondo vuole conservare all’umanità il prezioso “dono delle lacrime”; ma è il terzo racconto che, nel momento storico che stiamo attraversando, mi è parso davvero terribile – giacché rivela, in ultima analisi, che dietro il potere può celarsi un’ambizione scellerata, come anche una libido di conoscenza volta alla distruzione.
Infatti c’è un limite morale alle nostre scelte: è il limite che separa noi dagli altri; quando le nostre scelte mettono a rischio non solo noi, ma anche gli altri, quel limite viene colpevolmente ignorato.
Nel racconto, il momento più drammatico è quello del contrasto fra il capitano Tian Huang e l’ing. Wei Sun oppure fra Tian Huang e il medico di bordo… Qui, forse, io avrei dato più spazio al contrasto dei caratteri e avrei riportato un concitato dialogo in fondo al mare sui misteri della natura e il valore della vita umana… ma Tincani osserva i suoi personaggi “da lontano” e li descrive freddamente, come su un verbale di bordo. (Forse ha ragione lui, non saprei.)
Ebbene, come dice Clementina Santi nella sua bella prefazione, Tincani si muove sui “territori di confine”: e cioè fra reale e surreale, fra normalità e follia, e perfino fra la vita e la morte. Si prenda dunque – per completare la nostra analisi – il racconto che dà il titolo alla raccolta, “L’anticamera del cielo”. Forse il più difficile. Certamente l’unico il cui protagonista dica “io”. Eppure parla di ciò che accade dopo la morte. C’è una “zona di confine”, dice Tincani, dove il tempo è sospeso, lo spazio abolito, dove i morti vivono una “vita provvisoria”, in bilico fra la loro esistenza, fatta di corpi e quindi di bisogni, e un futuro, che è fatto tutto di luce e di libertà. Solo l’ultimo Pirandello ha osato fare una cosa simile – che io ricordi in questo momento. (Credo che il racconto di Pirandello si intitoli “Di sera, un geranio”.)
Siamo, dunque, “oltre”; non proprio nell’aldilà, ma in una condizione di passaggio da una “modalità dell’esistenza” (a noi nota) a un’altra modalità (a noi ignota). Forse c’è ancora tempo. Forse c’è ancora il modo di rimediare ai nostri errori. Forse c’è ancora il modo di lasciare un messaggio a chi abbiamo amato. È fra i poteri della Letteratura quello di farci narrare l’inenarrabile. E il narratore Tincani gioca al rilancio – come un giocatore di poker.
E. Tincani, L’anticamera del cielo, Corsiero editore, Reggio E., 2022