aprile 26, 2021

L'arte e il senso della storia

Dopo l’avvio del cantiere nella Biblioteca Capitolare, annunciato in Quaresima, anche la riconsegna alla nostra Chiesa di un dipinto trafugato a Prignano sulla Secchia nel 1999 e recuperato dai Carabinieri dell’Umbria diventa un segno di resurrezione per la comunità intera, religiosa e civile. La conferenza stampa che si svolge negli ambienti del Museo Diocesano la mattina di sabato 17 aprile offre a tutti un respiro di cultura e un motivo di speranza in un periodo ancora gravato da preoccupazioni e incertezze. L’applauso in sala scatta spontaneo e quasi liberatorio quando l’opera d’arte, inizialmente coperta, viene disvelata.


Il parterre è quello delle grandi occasioni: oltre ai rappresentanti di tutti i maggiori organi d’informazione locali sono presenti il questore Giuseppe Ferrari, il viceprefetto vicario Salvatore Angieri, il comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Emilia colonnello Cristiano Desideri, il direttore generale dell’Azienda Ausl reggiana Cristina Marchesi, il commissario della Camera di Commercio Stefano Landi. Dal tavolo della sala conferenze, al fianco del vescovo Massimo Camisasca, interviene l’attore principale dell’operazione, il comandante del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale tenente colonnello Guido Barbieri, accompagnato dal maresciallo maggiore Alessandro Lamberti.


Sull’oggetto del ritrovamento, di dimensioni 145x115 centimetri, pubblichiamo la scheda predisposta dall’Ufficio diocesano per i Beni culturali – Nuova Edilizia; il suo direttore, l’architetto Angelo Dallasta, spiega che il dipinto verrà custodito dal Museo Diocesano fino a che la chiesa di Santa Maria Assunta in Castelvecchio di Prignano (comune di Modena, diocesi di Reggio Emilia-Guastalla) sarà nuovamente pronta ad accoglierlo, una volta finiti i restauri che la stanno interessando, prevedibilmente tra un anno.


Nel suo saluto il sindaco di Prignano sulla Secchia Mauro Fantini esprime, insieme alla gratitudine, l’ammirazione per il lavoro dei Carabinieri, “pilastro della nostra Repubblica”, e riconoscenza alla Diocesi per il contributo importante che, con la ristrutturazione, sta dando a una parrocchia “marginale”, in un paesino disperso sull’Appennino modenese. Come dire: l’attenzione per i “piccoli” si vede anche in questi gesti; non a caso la delegazione giunta da Prignano annovera anche Ennio Bonilauri, primo cittadino all’epoca del furto del dipinto, e i due sacerdoti della Comunità “Regina Pacis” che curano la vita pastorale di quelle zone, il parroco padre Didier e il vicario parrocchiale padre Jean Marie.


Don Andrea Pattuelli, amministratore parrocchiale di Castelvecchio, ricorda l’emozione vissuta quando - con l’architetto Dallasta e Giuseppe Amedeo Moretti, un anziano parrocchiano che ben rammentava il quadro e poteva pertanto riconoscerlo – è entrato nel caveau dei Carabinieri di Perugia. “Un’opera d’arte strappata alla chiesa per cui è stata concepita – dice don Andrea - non costituisce solo una perdita di valore artistico ed economico, ma ancor più un tonfo sordo rispetto a quella voce silenziosa che aleggia negli edifici sacri grazie alle raffigurazioni e che parla al cuore dei fedeli in preghiera... Il nostro dipinto ha accompagnato la devozione e la fede, nonché ha dato quel balzo di stupore di fronte al bello, a centinaia di persone che nei secoli si sono raccolte all’ombra di quell’immagine. D’altra parte, per una misteriosa reciprocità, l’opera stessa si è per così dire modificata ed è stata resa viva dal tocco di migliaia di preghiere e di occhi speranzosi puntati verso la tela. Oggi siamo lieti di poter ricongiungere l’opera ai fedeli, il segno alla comunità”.


Al tenente colonnello Guido Barbieri il compito di ricostruire tutti i passaggi delle operazioni di recupero, non prima di avere precisato che le tele rubate a Castelvecchio furono tre: una era stata già sequestrata dai militari del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Monza nel 2006. A ritrovare l’olio su tela raffigurante i santi Geminiano, Lucia e Apollonia si è giunti al termine di un’indagine avviata nel gennaio 2020, coordinata dalla Procura di Pisa, grazie al monitoraggio del mercato online di oggetti d’arte e alla “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti”. Il confronto tra un’inserzione comparsa in rete e le immagini fornite dal parroco il giorno della denuncia ha dato riscontro positivo, sicché l’autorità giudiziaria ha potuto emettere il provvedimento di sequestro nei confronti dell’inserzionista identificato tramite il nickname sull’avviso di vendita, un antiquario della provincia di Pisa; costui ha così scoperto che l’autore dell’annuncio era stato un suo conoscente di Pistoia, che a sua volta aveva pubblicato la notizia incriminata per conto di un amico di Foligno, ambulante di antichi manufatti. La perquisizione del domicilio di quest’ultimo soggetto ha permesso finalmente di scovare il dipinto, già imballato per essere spedito in Sicilia. “Si conferma l’importanza della ricerca di beni culturali sottratti alla loro legittima fruibilità che, anche a distanza di molti anni, permette a un territorio di riappropriarsi di un significativo tassello della sua identità storica e culturale”, dice il comandante Barbieri.


Dopo avergli manifestato la sua “gioia grata”, il vescovo Massimo Camisasca propone un intervento tutt’altro che di circostanza. L’Italia – esordisce - è il Paese al mondo con il maggior giacimento culturale. Non solo non dobbiamo dimenticarlo noi, ma non va fatto dimenticare ai ragazzi, attraverso la scuola. È fondamentale far scoprire ai giovani - in un mondo di immagini che vengono da lontano e che tendono a sommergere l’immaginazione in qualcosa di passeggero - le immagini che restano e che possono dare profondità alla vita, più che mai in un periodo come questo. Non potremo costruire il futuro – prosegue il Vescovo - se non prendendo consapevolezza delle ricchezze del nostro passato: non per ripeterle o per gloriarcene in senso reazionario, ma perché è dal passato che si attingono le forme creative del futuro.

L’arte dà speranza, gioia, immaginazione e crea relazione. E questo bacino d’arte – sottolinea Camisasca - non è una questione di stupido orgoglio: se è nato in una parte importante della tradizione cristiana è perché Dio si è fatto uomo e quindi è diventato di per sé oggetto di immagine, quindi l’immagine umana ha avuto un’enfatizzazione enorme.


Costruita la piattaforma condivisa del ragionamento, il vescovo Massimo lancia un appassionato appello: occorre far sì che quest’arte non vada solo a rimpinguare i musei; la forma museale si è affermata come risposta al fatto che ci fossero state molte rapine di beni ecclesiastici. “Dobbiamo ridare all’arte i suoi luoghi originari”, scandisce il pastore. Certo, là dove è possibile. E subito aggiunge una sua convinzione profonda, che riguarda non solo la Diocesi ma la Chiesa italiana: “Penso che dobbiamo affidare a dei laici la custodia e l’animazione delle nostre chiese laddove non ci sono dei preti”. 

In sintesi: “Sto dicendo che l’arte deve rimanere nelle chiese e che le chiese devono essere aperte, ma per essere aperte devono essere custodite” anche e sempre più da figure laicali. Perché “le esperienze hanno bisogno di ambienti” e perché “l’arte è il primo e fondamentale strumento di catechesi, oggi più che mai che i ragazzi sono colpiti dalle immagini più che dalle parole”.

C’è un immaginario iconografico che è rimasto nel nostro popolo, conclude il vescovo Massimo. L’arte fa pregare, fa pensare, dà speranza, dà senso della storia, dà desiderio di rinascere. Lo dicevamo in apertura: un altro segno di resurrezione.


(da La Libertà numero 16 del 21 aprile 2021; nella foto, un dettaglio del dipinto con le sante Lucia e Apollonia)


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