
Pubblico la lettera che un giovane reggiano, Tommaso Fontanesi, ha scritto dalla Palestina occupata, in una situazione drammatica e apparentemente senza speranza, con la preghiera rivolta a tutti quelli che leggono - di non rimanere indifferenti.
Cari amici,
vi scrivo questa lettera a seguito dei recenti eventi che hanno scosso la Palestina tutta.
Venerdì si è tenuto a Gerusalemme il funerale della giornalista palestinese Shereen Abu Aqle, corrispondente di al-Jazeera, assassinata i giorni scorsi da Israele. La vicenda di Shereen (e di tanti altri come lei) è conseguenza della violenza strutturale perpetuata dallo Stato di Israele contro l’intera popolazione palestinese.
Il funerale è l’emblema di tale violenza. La polizia israeliana ha aggredito il corteo funebre, sparato all’interno dell’ospedale in cui era il corpo, picchiato i ragazzi che trasportavano il feretro. Da chi non ha rispetto dei vivi, c’era forse da aspettarsi rispetto per i morti?
Mi sono unito al corteo presso Porta Nuova, l’accesso al quartiere cristiano della città vecchia di Gerusalemme (Shereen era cristiana greco-cattolica). La polizia sbarrava l’accesso alla gente accorsa per il funerale. Ci hanno spinto, picchiato, caricato con i cavalli. Entrare in città vecchia è stato impossibile, ma allora la folla, una folla immensa, si è diretta verso il cimitero, appena fuori le mura di Solimano.
È stato un momento commuovente, uno dei momenti più commuoventi della mia vita. La città intera raccolta intorno alla giornalista assassinata, al simbolo della verità che qui, nella Palestina occupata, viene assassinata ogni giorno. Una folla stanca, esasperata e affranta, trasudante uno sconforto che da alcuni giorni (da quando Shereen è stata assassinata) si è fatto palpabile. Chiunque cammini per le strade della città può toccare con mano la disperazione di ogni palestinese, in ogni discorso, in ogni sguardo, in ogni gesto. Proprio nel momento di massima violenza, la Palestina intera si è raccolta in nome della verità uccisa, si è raccolta intorno al corpo della giornalista assassinata.
“Mai si era vista tanta violenza a un funerale – mi ha detto un amico palestinese – Oggi è come se avessero ucciso Shereen una seconda volta, è come se Gerusalemme fosse stata occupata di nuovo. Ma quando la folla si è raccolta insieme, per qualche istante, è come se la Palestina fosse stata finalmente libera”.
E ora a voi, miei amici. Vi scrivo in nome di quello in cui credete, in nome di quello che vi è più caro. Sappiate che qui, in Palestina, nella terra che chiamano “santa”, un’organizzazione terroristica – nel senso davvero letterale – che va sotto il nome di “Stato di Israele” priva della vita migliaia di persone. Alcuni (e non pochi) della vita biologica, tutti gli altri li uccide nell’anima, toglie loro speranza e futuro, li getta nel terrore. Quale palestinese può vivere sereno sapendo che in ogni momento un militare o un poliziotto o un qualunque israeliano armato potrebbe uccidere impunemente lui o i suoi cari? Uccidono i giornalisti, uccidono gli attivisti, uccidono ogni giorno civili disarmati. Vi prego: non siate ipocriti! Non chiudete gli occhi! Non restate indifferenti a quello che succede su questa terra! Alzate la voce in nome della verità, alzate la voce contro l’occupazione e la colonizzazione israeliana! Supportate con ogni mezzo il popolo palestinese, denunciate e sabotate con ogni mezzo l’abominio compiuto dallo stato sionista!
Questa lettera è un grido disperato. Rantolo di migliaia di persone che mi stanno morendo intorno. Che non resti inascoltato.
Palestina libera!