
di MARCO TRUZZI
“Fare anticamera” è una locuzione cui diamo, spesso, una forte connotazione negativa. Ha a che fare con un’attesa vissuta con un senso di inutilità, in una situazione di passaggio, aspettando di essere ricevuti, di potersi spiegare, di avere un colloquio, di dare risolutezza se non alla propria esistenza quanto meno a quella precisa giornata.
Così, anche in questa “L’anticamera del cielo” - raccolta di tredici racconti, scritti da Edoardo Tincani, pubblicata da Corsiero Editore - il primo accento viene posto proprio sul termine anticamera, come una fase di passaggio in un confine, in un luogo che non è più un prima, ma nemmeno ancora un dopo. Sono tredici racconti di ambientazione e svolgimento assai eterogenei, che trasportano il lettore dalla cronaca alla distopia, non disdegnando gli intermezzi storici, e che vedono la gran parte dei personaggi messi in scena alla prese con un’anticamera esistenziale, sia essa un vero e proprio passaggio - come nel racconto “title track” della raccolta - o, diversamente, una sorta di epifania che, in qualche modo, sconvolgerà le loro vite, le loro opinioni o le loro credenze.
Poi, però, c’è la questione del cielo. Perché, ovviamente, esistono le anticamere del dentista o dell’avvocato - dove, in genere, si attende per poi “dover dare” - mentre qui abbiamo un “cielo”, dove poter ricevere. Se da un lato si sarebbe portati immediatamente a pensare al termine come sinomimo di qualcosa di “celeste” e paradisiaco - e l’autore stesso, in alcuni racconti, ne accenna chiaramente - dall’altro il “cielo” diventa nel nostro caso una definzione più appropriata di “redenzione” e di “conoscenza”. Dunque, è esattamente in questo preciso istante che prendono vita le narrazioni di Tincani, in quell’anticamera, in quell’esatto momento che precede la presa di coscienza di ciò che siamo, di ciò che abbiamo fatto, di ciò che è realtà, di quali valori siamo, di volta in volta, interpreti o soggetti. Il finale dei racconti diventa così quel “cielo”, quella risoluzione che cambia le carte in tavola, scompagina le cose, illumina ciò che era nascosto.
L’autore ha il gusto per il finale a sorpresa. Che, detta così, suona pretenziosa, ma che, invece, pretenziosa non è, perché non si tratta di estrarre chissà quali conigli dai cappelli, ma di mettere in luce ciò che pazientemente era stato intessuto nelle pagine precedenti. Tanto che poi il lettore è chiamato a rileggere il racconto alla luce dell’esito che questo ha avuto, scoprendo sovente che gli elementi decisivi erano già stati sapientemente disseminati, qui e là, nell’incastro di parole costruito dallo scrittore. Il confine principe, dove si dipana un buon numero dei racconti - “Amori di un astronomo”, “L’anticamera del cielo”, “Fine di una storia”, “Pensieri di una vedova” e, almeno in parte, anche “Una bici in più” - è, naturalmente, quello tra la vita e le morte. Ed è proprio nei “Pensieri di una vedova” - un racconto dalla costruzione perfetta, in cui rilevo vaghi richiami darziani - che queste considerazioni trovano pieno riscontro: il lettore ha tutti gli elementi per costruirsi un’ipotesi di finale, e anche anticiparlo. Ma poi, quando questo effettivamente arriva, in modo niente affatto sorprendente (almeno in questo caso), ecco che tutto può essere riletto alla nuova luce da cui viene esso illuminato. Gran parte di queste narrazioni sono attraversate dall’idea che le cose trovino un compimento nell’arrendersi al non voler “comprendere tutto”, come se il disegno si compisse solo attraverso qualcosa di inaspettato. Basta poco, sembra voler dire l’autore, per cambiare radicalmente le cose o anche, perché no?, un’intera vita: un gesto, una decisione, una scelta, che avvicinano gli uni agli altri, che ci trasportano dall’anticamera al cielo, facendoci così sentire un po’ tutti come Attilio Bordi, l’anziano protagonista dell’ultimo racconto - “Natale a casa Bordi” - che, trovando la forza di distaccarsi dalle stanche litanie di un cenone natalizio in famiglia, si “intabarra” per correre di nuovo incontro alla “vita”.
Suggerire un esito possibile alla precarietà di questo nostro tempo mi sembra un tema di grande attualità, che trova pieno compimento in questa raccolta di racconti. Le “anticamere”, sembra suggerire in più di un passaggio Tincani, dunque a un certo punto finiscono. Ma sono le nostre scelte che determinano se di ciò che ci sarà nelle “camere” saremo protagonisti o incerti spettatori e di che qualità sarà fatto il cielo che ci attende.
Il dettaglio ingrandito nell'immagine di questo articolo è tratto dal racconto "Fine di una storia". Il libro "L'anticamera del cielo" è disponibile per l'acquisto sul sito dell'editore Corsiero, cliccando qui.